RISPARMIO ENERGETICO NELLE PICCOLE E MEDIE INDUSTRIE

Dr. Bruno Piccatto (Tratto da "Strategie dell'energia" 1990)

 

Negli anni settanta il problema energetico unitamente a quello ecologico ha assunto una rilevanza ormai a tutti nota.

Tuttavia solo agli inizi degli anni ottanta si è iniziato realmente ad operare per mitigare gli effetti disastrosi che si stavano producendo nelle economie dei Paesi industrializzati.

Discretamente si è fatto a livello normativo e conoscitivo per quanto attiene gli aspetti energetici generali, recepiti in primis dalle grandi aziende che si sono dotate di strutture organizzative adeguate (istituzione della divisione energy saving a capo della quale vi è un energy manager che risponde direttamente alla direzione generale).

Al contrario, molto rimane incompiuto a livello di piccola e media impresa, ove la piccola dimensione e risorse finanziarie limitate non permettono l'impiego di un energy manager interno. D'altro canto, la complessità e la molteplicità delle realtà aziendali rendono arduo un approccio concreto e sistematico dei problemi energetici da parte di tecnici interni all'impresa stessa.

Infatti, come chi scrive ha avuto modo di constatare nella sua attività pluriennale di consulente esterno, le direzioni tecniche aziendali generalmente hanno una scarsa conoscenza della propria situazione energetica interna.

Ciò si deve alla molteplicità dei parametri necessari ad un adeguato ENERGY AUDIT (analisi energetica) sia alla maggiore attenzione che si dedica ai problemi più direttamente legati al prodotto e al processo produttivo perché più immediati e pressanti.

Premesso che le prestazioni energetiche, economiche ed ecologiche sono strettamente correlate tra loro e che le soluzioni ottimali vanno ricercate a vari livelli internazionali e nazionali con lo studio di adeguate norme ed incentivi, risulta contestualmente importante creare una cultura " del risparmio e dell'uso razionale dell'energia" diffusa e capillare fra tutti i responsabili delle piccole-medie imprese sia operativi che direttivi.

Così agendo si potrebbero realizzare investimenti, anche di modeste entità (poche decine di milioni) in grado però di produrre risparmi di combustibile tali da remunerare anche in solo due anni l'investimento effettuato.

Il lettore a questo punto potrebbe chiedersi se tutto ciò è ancora oggi valido a fronte di una relativa stabilità del prezzo del petrolio. A tale domanda forniremo una duplice risposta: una di natura internazionale ed un'altra legata alla situazione interna italiana.

In primis, un prezzo del greggio intorno ai venti dollari il barile va interpretato in relazione a cause economiche più contingenti che strutturali (un relativo eccesso di offerta rispetto alla domanda dovuto all'esposizione debitoria dei Paesi produttori di petrolio e da una diminuzione specifica dei consumi nei Paesi industrializzati; quest'ultima da imputarsi sia alla congiuntura economica in atto che ad una prima concretizzazione di alcune politiche di risparmio energetico).

A nostro avviso un tale quadro economico è destinato a non durare più di tanto; alcuni timidi segnali di una ripresa dell'economia dei Paesi occidentali sono già prevedibili, ciò comporterà inevitabilmente aumenti ulteriori dei consumi dei combustibili.

La situazione italiana invece costituisce un caso a parte: da un lato il consumatore non ha mai beneficiato del prezzo del greggio (la diminuzione di prezzo, quando vi è stata, è stata sempre fiscalizzata); dall'altro la stabilità del prezzo paradossalmente rischia di provocare un abbassamento dell'"allarme energetico" ed il congelamento di quelle politiche che faticosamente iniziavano a diffondere una più razionale cultura dell'uso delle fonti disponibili.

Si rischia insomma di dimenticare che le risorse del pianeta sono limitate, che il petrolio è già materia prima insostituibile per la produzione di alcuni manufatti e quindi il suo uso indiscriminato come combustibile provocherà contraccolpi alle nostre economie con effetti imprevedibili e disastrosi anche più che in passato.

Qualcuno potrebbe accusarci di disfattismo e di eccessivo pessimismo, riteniamo invece di essere semplicemente realisti e previdenti vista la lezione del passato.

Qualcuno forse ha dimenticato la improvvisata inconcludente politica energetica dei nostri governanti all'indomani del primo shock petrolifero (1973) ovvero la circolazione delle auto a targhe alterne, i vari black-out dell'ENEL e altre iniziative scarsamente produttive.

Ora dopo venti anni sono riapparse le targhe alterne questa volta non perché mancano le benzine ai distributori o i combustibili per il riscaldamento dei locali ma perché, con i prodotti della combustione di questi ci stiamo letteralmente soffocando.

Da 15 anni almeno da questa e da altre tribune stiamo sostenendo che non si può pensare più ai combustibili come "materia prima" è necessario concentrare investimenti in tecnologie a più alto costo ma che permettano consumi specifici inferiori.

Tutto ciò non solo è possibile ma la nostra struttura industriale e professionale, in chiave imprenditoriale, senza sovvenzioni pubbliche, nell'ultimo decennio ha congegnato, prodotto, assemblato centinaia di impianti in tutta Italia che stanno producendo "calore" con un consumo specifico inferiore del 30-40% rispetto ad impiantistiche tradizionali ma ormai completamente obsolete. 



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